questa è la trasposizione in blog di una rubrica diffusa via e-mail e accompagnata alla degustazione delle bevande descritte. Chi la legge sul web, ne perde il succo. QUINTA STAGIONE 12/02/2024 Schweppes Hibiscus 16/01/2017 Bubblegum Barr 28/11/2014
Rivella 02/05/2013
Tè frizzante Lipton 18/04/2011
Soda alla Vaccinara
SUPPLEMENTI Tre Souvenir da Baku
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Schweppes Hibiscus Oggi il Karkadè è entrato nell’uso comune il suo consumo assorbe i tre quarti per infusi. Si può calcolare che l’uso del Karkadè porta un contributo notevole anche alla sanità della razza, perché i pregi di questa droga sono infinitamente superiori, dal punto di vista dietetico e da quello biologico a quelli del caffè, tè, ecc. Ma allora che fine ha fatto dal dopoguerra quest’alimento salutare, prelibato e gradevole nell’aspetto? Deve essere stato un po’ accantonato, per poi essere ripescato come prodotto esotico, visto che in molti paesi tropicali gode di una diffusione ampia ed antica mica appesa alle artificiali promozioni di regime. Non è stato dunque dimenticato come il caffè di cicoria, ma certo non abbiamo più avuto bevande gassate a quel gusto. Eppure la bevanda che deriva dall’infuso del calice del fiore dell’Ibisco ha un bellissimo colore rosso naturale e proprietà come una leggera asprezza che la rendono una perfetta candidata per le bibite gassate, anche se quel colore è da noi occupato da altri gusti. Diffuso in Africa sotto il Sahara e in Egitto, in varie regioni asiatiche e in America Centrale, il karkadè viene consumato sia come tisana calda che come bevanda rinfrescante, con tanti nomi diversi; in Senegal, col nome di bissap, è addirittura la bevanda nazionale. Forse sconta lo stesso tabù di una bevanda antica e radicata nelle tradizioni come il tè, così difficile da immaginare frizzante che ci provano in pochi a proporlo. Per ora noi ci dobbiamo accontentare di questo tentativo della Swhweppes che la include nella sua linea europea “Selection” in bottiglie con preziosa forgia di ampolla da 45 cl e 20 cl. Ne viene fuori una specie di tisana ipergassata dalle caratteristiche bolle fitte e giganti di Schweppes, con un profumo di assalto floreale e un sapore più di pesca che di frutti di bosco. Il suo fallimento sta nella premessa: è una tonica all’ibisco, ma il contrasto tra il fiore e il chinino è troppo forte per chi non la usa come mixer e se la vuole godere da sola. Può darsi che interessi per esempio a chi apprezza l’aranciata amara, ma a me sembra un esperimento da annoiati. La bottigliotta da 45 cl con tappo a vite l'ho trovata in un Carrefour di Parigi, dove evidentemente è più raggiungibile che in Italia, anche se sul sito della Schweppes francese la linea Selection viene definita "“unica, destinata ai professionisti dei bar e agli amatori dei cocktail”. Recentemente l'ho trovata anche a Roma, da Doreca, nella più piccola bottiglietta da 20 cl con tappo a corona. Cé 16/11/2023 Tropical Banana Da certi punti di vista la banana è il frutto perfetto; un prodotto alimentare di madre natura (con l’aiuto umano) alla cui imitazione l’industria può ambire come modello definitivo; l’ennesima prova per le teorie antropocentriche. Un frutto che la selezione ha reso perfettamente godibile, dalla consistenza morbida, senza semi né altri scarti, uniforme nel proprio gusto dolce e delizioso; auto-dotato di una confezione impermeabile e resistente, eppure apribile più comodamente che con una cerniera lampo. Con queste premesse di solito non se ne cava una bibita buona: nelle bevande gassate sono meglio ospitati i frutti ostici alla commestione, meglio se rappresentati dall'estratto di una precisa porzione. Infine le banane sono coltivate nei paesi tropicali e disponibili tutto l’anno con le stesse caratteristiche, sicché una banana è in qualche modo simile ad una bottiglietta o a una lattina di bibita e tutto ciò diminuisce la necessità della trasformazione. Ciò detto, è impossibile non essere curiosi su una gassosa alla banana e oggi ci togliamo questa curiosità andandone a pescare una versione direttamente all’epicentro. Finora infatti abbiamo solo sfiorato il gusto con la Zelita cretese, che lo richiama senza vincolarsi ad esso; ma per una vera banana soda l’epicentro è l’Honduras, il paese a cui si ispirò l’inventore del concetto di “repubblica delle banane”, lo scrittore americano O. Henry, usandola per la prima volta in un libro del 1904. In Honduras c’è un consumo molto alto di bibite gassate e un grande e antico produttore, la Cerveceria Hondurena, che oltre a imbottigliare Coca-Cola, Fanta e Sprite, produce le due antiche bibite honduregne con marchio Tropical*, ai gusti di uva e banana. Tutte da consumare in grande quantità e per questo confezionate anche nel comodissimo fiasco in pet da 3 litri. La Cerveceria Honduregna si è formata accorpando alcuni produttori di birra sorti in Honduras a partire dall'inizio del '900 anche grazie ad investitori stranieri e ora appartiene alla grande multinazionale birraia AB InBev. Senza gli assaggi di qualche alternativa è difficile dire cosa non sia centrato in questa banana soda, nonostante la sua "origine garantita". Il sapore di banana è insieme soffuso e mellifluo; dolcemente vanigliato, si alterna ad una sensazione più secca, che comunque non ostacola l'insorgere di una sensazione di sazietà già al primo bicchiere. L'aroma naturale di banana sarebbe l'unico contributo al sapore, eppure forse il gas lo distorce, lo fa apparire innaturale. Poco male: un'altro paese e un'altro gusto esplorati, ma una strada ancora aperta all'esplorazione. Trovata all'alimentari affianco alla Metro Laurentinaal prezzo di 2,50 euro. *Sul sito ufficiale appare una svolta nell’uso del marchio Tropical da parte della Cerveceria Hondurena, che abbandona il vecchio logo legato ad una palma caraibica e acquisisce quello della Fanta, sostituendosi ad esso anche per la produzione dell’aranciata. Cé 23/11/2022 18/10/2022 milk beer ( 奶啤 ) - Tianhui Abituati ai nomi fuorvianti di alcune bibite straniere, potrete sperare che questo sia il caso tipico, oppure lo stravagante nome commerciale di una nuova gassosa bianca da promuovere. Macché... è tutto vero! La maggiore predisposizione dell'Oriente a questo apparentemente assurdo miscuglio deriva da una pratica millenaria dei popoli che abitano il Kazakistan, il Kirghizistan, la Mongolia e il nord della Cina; quella di far fermentare il latte di cavalla, producendo il kumis, una antica bevanda alcolica dal nome di origine turca, che ha la prima testimonianza con Erodoto nel quinto secolo a.c.. Una tradizione dal forte impatto culturale che ha determinato anche la generale ingerenza del latte e dei suoi derivati nelle gassose orientali. la birra al latte ha ancora una collocazione commerciale incerta, a partire dai supermercati, sospesa tra le bibite gassate, la birra e il reparto lattiero-caseario. Inoltre, sebbene la maggior parte dei prodotti abbiano un contenuto di alcol abbondantemente sotto la soglia delle bevande analcoliche, il nome e il sapore generano diffidenza nel consumatore al momento di decidere a chi sia adatta e in quali situazioni. In attesa del consolidamento di una posizione più netta, sono evidenti anche alcuni tentativi di indirizzare il prodotto, ad esempio con la confezione di quello che assaggiamo noi, bianca e rosa; non unica, ma diversa rispetto al bianco e blu della prima marca Tianrun e della maggior parte di quelle che sono seguite. Un elemento di distinzione e un probabile ammicco al pubblico femminile. La milk beer dell'assaggio di oggi è la Tianhui, di una ditta fondata nel 2002 nella città di Qingdao, sulla costa orientale cinese. La sua lista di ingredienti è la più lunga che abbia mai letto sull'etichetta di una bibita: acqua, sciroppo di fruttosio, latte intero in polvere, zucchero bianco, latte scremato in polvere, destrosio commestibile, succo d'ananas concentrato, malto, riso, luppolo, carbossimetilcellulosa sodica, gomma di xantano, pectina, acido citrico, acido lattico, acido malico D L 1, citrato di sodio, sucralosio, acesulfame potassico, ciclamato di sodio, sorbato di potassio, anidride carbonica, aroma, Streptococcus thermophilus, Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus. L'unico apparente intruso è il succo d'ananas, presente in questa come in diverse altre milk beer cinesi; avrà il suo apporto, ma forse per coglierlo bisogna abituarsi in qualche modo al ben più evidente contrasto tra latte e birra fondativo di questo genere, da cui non viene fuori nulla di inaspettato o diverso dalla sovrapposizione dei due gusti, entrambi ben presenti. Qualcosa di simile nel sapore deve stare forse solo nell'usanza, in qualche paese centramericano, di mescolare le bibita malta al latte. L'unica vera sorpresa del gusto non è tanto il risultato, ma il fatto che si possa costruirlo. Tra i tanti sapori di una bevanda gassata non avrei immaginato di imbattermi in quelli della mia coccola alimentare mattutina, fatta di latte freddo e biscotti. Ecco quello che sembra questa milk beer cinese: biscotti d'orzo completamente sciolti in un latte cremoso. Tutto però disgraziatamente gassato. Trovata in un negozio di Via Paolo Sarpi a Milano. La lattina da 300 ml (non 330 come le nostre) mi è costata 1,80 euro. Cé sour plum soda ( 酸梅汽水 净含 ) Bibita gassata alle prugne aspre. Non proprio inviatante la traduzione italiana del nome di questa bevanda cinese, anzi quasi minacciosa; però in patria è considerata molto dissetante ed è legata ad una tradizione antica. Qualche capitolo fa abbiamo incontrato il rinascimento delle bibite cinesi, simboleggiato dalla pechinese Artic Ocean, uno dei grandi produttori nazionali affossati dalle stategie industriali e commerciali di Coca Cola e Pepsi durante gli anni '90. Ora che sono rinati molti dei vecchi marchi cinesi, in un mercato in crescita in cui il consumo procapite è ancora molto inferiore ai valori del mondo occidentale, la loro sfida può essere quella di allargare la gamma dei prodotti e di espandere il proprio mercato oltre i confini provinciali in cui ognuno di essi è ancora ristretto. Due esigenze contraddittorie rispetto allo spirito che ne ha rianimato la rinascita, impregnato del legame con le tradizioi gassosaie e col proprio territorio storico. Nel frattempo rimangono relegati a basse quote di mercato, ostacolati anche da prezzi praticati molto superiori a quelli dei prodotti dei colossi internazionali. In questo contesto Artic Ocean, partita dalla riedizione della propria celebre aranciata, ha allargato i formati a lattine e pet e la gamma ad altri due gusti, mandarino e prugna. Per la seconda, oltre ad una ricorrenza nel mercato delle bibite asiatiche (Vietnam soprattutto, ma anche Giappone, Corea, etc.), c'è anche un collegamento con la tradizione. Il suanmeitang è infatti una millenaria bevanda cinese a base di prugne secche affumicate, zucchero e qualche eventuale condimento come osmanto e liquirizia. Si è diffuso prima nella corte imperial,e per poi diventare una bevanda del popolo, essere venduta in strada da venditori ambulanti, che come i nostri acquaioli la tenevano fredda col ghiaccio, fino ad essere prodotta anche industrialmente solo negli ultimi decenni del secolo scorso. Il suanmeitang per i pechinesi è legato ad una tradizione di refrigerio dissetante che quasi automaticamente si traduce in gassosa, come avviene con la bibita di oggi*. Non è così automatico per noi, che le prugne le mastichiamo solo; e così il gusto di questa sour plum soda risulta poco familiare, più curioso che piacevole, non allineato al puro gusto del succo di susina, ma evidentemente ad un elaborato derivato del frutto. Trovata all'alimentari cinese di Via Carlo Alberto. *Anche Coca-Cola non si è fatta sfuggire il passaggio: nell'Epcot, il Dysney Park della Florida ispirato ad una esposizione mondiale permanente, c'è un dispenser di bibite alla spina da molti paesi stranieri (non sempre gli stessi). A rappresentare la Cina c'è stata anche la Smart sour plum soda, in cui Smart è il marchio di diverse bibite gassate fruttate del gruppo nel mercato cinese. Si tratta soprattutto di un riferimento culturale più che commerciale, visto che l'talia è rappresentata da Beverly, il bitter del gruppo Coca-Cola mai veramente decollato ed ormai accantonato. Cé Ivi ricoco In questo, come in alcuni dei prossimi capitoli della rubrica, ho l'occasione di colmare qualche lacuna. Le bandierine che posso aggiungere oggi sono due: una sulla carta geografica e una sulla fruttiera, con una bevanda albanese all'albicocca. Non ci sono molte bibite gassate al gusto di albicocca nel mondo, ma questa della mescita odierna ha una storia di diversi decenni testimoniata da immagini di lattine presenti online, che mi fa supporre che sia ormai un classico regionale. Un altro indizio è la presenza nel mercato albanese di un'imitazione a marchio Fanta, che corrisponderebbe al solito tentativo del gruppo Coca-Cola di erodere il mercato del prodotto nazionale, come ad esempio avvenuto in Italia col chinotto. La bibita porta sull'etichetta il marchio della greca Ivi, una ditta nata nel 1936 e così nominata in omaggio alla dea Ebe, figla di Giove, scelta non a caso in quanto coppiera degli dei. Ivi è diventata nel 1973 l'imbottigliatore nazionale della Pepsi fino ad essere da quest'ultima acquistata nel 1989. A partire dagi anni '90 il marchio Ivi è stato usato da Pepsico come riferimento per le bibite fruttate anche in altri mercati come Albania, Serbia e Cipro. La Ivi all'albicocca deve aver trovato terreno fertile in Albania, dove il frutto è molto coltivato e diffuso e negli anno '90 il mercato alimentare si è aperto ai prodotti stranieri. Ogi è imbottigliata su licenza in una fabbrica della città di Argirocastro, nel sud del paese. Il nome "ricoco" scritto minuscolo e nelle ultime versioni riportato nella dicitura "ricoco i gazuar", quindi usato come nome del frutto piuttosto che nome originale della bbita, farebbe pensare ad un nomignolo del frutto derivante dal termine greco βερύκοκκο (verýkokko). In realtà non c'è solo albicocca nella ricetta, ma il 10% di contenuto in succo è diviso con l'arancia che anzi dovrebbe prevalere visto che è citata per prima tra gli ingredienti. Forse è messa lì per attenuare un sapore inusuale e altrimenti spiazzante perché istintivamente collocabile nella categoria dei succhi polposi; è questo un pregiudizio che si affaccia e svanisce presto sulla gradevolezza di un gusto, forse un po' infantile, ma ben dosato e definitivamente appetitoso. Alla fine Ivi ricoco è una vera e buona bibita all'albicocca, in cui l'arancia, per usare una metafora botanica, funge solo da innesto. Trovata all'alimentari arabo di Via Volpato e pagata 1 euro la lattina da 33 cl. Cé Kooky's lemon licorice Sicché dalla Finlandia ho portato finora solamente una cartolina scolorita, un po' bugiarda e un po' sincera, come quella di un monumento completamente ricostruito senza tanto rigore né celebrazione. È per via di un costume ormai sfumato e senza quella spinta nostalgica che ha caratterizzato i mercati di tanti paesi nel millennio in corso. Forse l'unica bibita veramente tradizionale della Finlandia è il sima nella sua versione analcolica, un derivato dell'idromele vichingo aromatizzato con limone, uvetta o erbe varie. Chi ama le bibite avverte talvolta la curiosità di vedere convertito in bibita un gusto riuscito altrove, in un dolce ad esempio. La Pescamara Tassoni (app. LXXVII) e il Tiramusù Karmi (suppl. Malto e Luppolo) sono dei rari e lampanti esempi di questa curiosità sfociata, almento temporaneamente, in una ricetta industriale. La Kooky's lemon licorice è un miscuglio eccellente, millimetricamente equilibrato, che apre e chiude una nuova via per il godimento bibitofilo. Un ritrovamento fortuito in una terra inconsapevole, un gioiello raro rinvenuto per caso; ma non lo ha perso nessuno e può essere restituito solo a chi non lo ha mai avuto, perché è stato abbandonato. Cé 22/08/2022 Jaffa Palma - Hartwall Chi si aspetta dalla Finlandia un panorama di bibite vasto e ricco di marchi e sapori rimasti nel costume del paese come nella vicina Svezia, rimane deluso: nonostante le premesse storiche e geografiche in comune, non mi è stato possibile portare dalla Finlandia una testimonianza delle bibite locali minimamente comparabile con quanto ho portato e raccontato dalla Svezia, il cui completamento ha richiesto addirittura un supplemento (vedi La dinastia Sockerdricka). Alcuni elementi hanno forse limitato la caratterizzazione delle bibite Finlandesi impedendo la sedimentazione di categorie tipiche nel costume nazionale. Il primo è una certa pressione fiscale legata allo zucchero, inasprita ancora nell'ultimo decennio. Un altro è un giudizio generico di prodotto poco salubre che le ha sempre accompagnate, fin dall'epoca di maggior espansione negli anni '20 e che concorre a posizionare storicamente la Finlandia agli ultimi posti in Europa per il consumo procapite di bevande gassate. Infine vi è la "liberalizzazione" dei marchi, per via della quale alcuni dei nomi più famosi non potevano essere registrati e finivano per diventare riferimenti generici e vaghi per molte bibite, anche diverse tra loro. Da quest'ultimo fenomeno nasce la scelta del prodotto di oggi Hartwall-Jaffa-Palma, tre nomi che hanno caratterizzato la storia antica e recente delle bibite gassate Finlandesi. Hartwall è l'unico "nome proprio" dei tre, anche se la ditta è passata di mano diverse volte, fino al 2018 in cui Royal Unibrew ne è diventata l'unico proprietario: fondata nel 1936, già dall'inizio del secolo scorso è il più grande produttore di bibite finlandese. Oggi imbottiglia su licenza Pepsi, 7Up e Mountain Dew, ma nel 1956 fu anche la prima ad imbottigliare la Coca-Cola e altre bibite del suo gruppo. Il secondo nome, Jaffa, fu probabilmente introdotto da Hartwall nel 1949 per una bibita all'arancia prima ed una gamma di bibite poi, ma divenne presto il nome generico di bevande gassate dai gusti esotici. Storia simile per il nome Palma, introdotto probabilmente dalla ditta Aurinko, il cui marchio è ormai scomparso; il nome è rimasto vivo, come già quello della città portuale israeliana, per la sua capacità di evocare suggestioni esotiche, senza identificare univocamente o definitivamente un gusto. La grande famiglia a cui sono legati questi nomi e l'epopea delle bibite finlandesi del dopoguerra è comunque quella dell'aranciata, un gusto che è stato dominante fino agli anni '90 quando venne superato dalle cole americane, mentre la cola come prodotto locale comparve nel 1946 come risultato di un approvvigionamento massivo da parte del governo finlandese del concentrato dai produttori americani e la vendita a decine di produttori nazionali privati. Questa unione di riferimenti tradizionali, nella bibita più emblematica della storia gassosaia finlandese che abbia potuto trovare, in realtà si risolve in un prodotto nuovo, ancora diverso dai precedenti portatori di quei nomi. Resa verde da un miscuglio di coloranti naturali ed artificiali, si tratta di un'agrumata col 4% di succo totale tra arancia e limone, indecifrabili al gusto nelle proporzioni, che insieme ad altri aromi non specificati, generano un miscuglio abbastanza originale e gradevole. Non esaltante nel gusto né purtroppo soddisfacente nella sua veste di documento di una tipologia di bibite ormai desueta in un panorama che sembra quasi esente dalla nostalgia. Cé Fassbrause Se scorro nella memoria tutti i miei incontri con le bibite tedesche, ricevo una sensazione di fastidio per un cumulo di baggianate, occasioni sprecate, scelte incomprensibili e generiche dimostrazioni di cattivo gusto. Nel mio veloce recente “sorvolo” berlinese non ho potuto convertire questo mio personalissimo giudizio generale. Nel ripasso globale di una trasferta berlinese di 2 giorni durante al quale non ho bevuto neanche un sorso d'acqua, ho ricevuto solo conferme, anche se ammetto di non aver potuto indagare oltre il confine che già conoscevo dei prodotti più diffusi. Eppure anche in questo panorama poco avvincente, ho trovato una nuova bibita da trascinarmi dietro e proporvi per l’assaggio. Si chiama Fassbrause (traducibile in bibita in fusto) e non è un prodotto tedesco, ma precisamente berlinese. La Fassbrause fu inventata nel 1908 dal chimico Ludwig Scholvien per il figlio a cui intendeva proporre una bibita simile alla birra, ma adatta alla sua giovane età. Arrivò alla ricetta originale aggiungendo ad acqua e malto il concentrato di mela e l’estratto di radice di liquirizia. Però anche in questo caso la ricetta originale sarebbe segreta e appannaggio di un solo produttore del concentrato, la Wild GmbH nel quartiere Berlinese di Spandau, che ha rilevato nel 1985 la ditta Scholvien GmbH fondata dall’inventore nel 1902, il più antico produttore tedesco di essenze. Però a Berlino la fassbrause è ancora quella legata alla sua storia antica, alla quale si richiamano i produttori senza tante divagazioni o flessioni moderniste; anche perché la formula originale è in un certo senso già moderna e, con le sue ridotte calorie e un gusto fruttato ma tenue, non più confinata a bibita per ragazzi o a “birra sportiva”, come pure era appellata. A maggior ragione per l’assaggio di oggi procediamo col marchio dichiaratamente più fedele all’originale, la Rixdorfer*, che utilizza il concentrato originale e la famosa acqua dalle sorgenti minerali di Bad Liebenwerda.
*Rixdorf è l’antica cittadina tedesca dove viveva l’inventore D. Scholvien, nel 1912 rinominata Neukölln e dal 1920 annessa alla “Grande Berlino". Cé Melon Soda Sangaria (メロンソーダ) Una sorpresa. Una parentesi nel circo delle bibitonze giapponesi, apparentemente privo di solidi riferimenti culturali e sempre alla ricerca dello straordinario o dell’esotico. Una sorpresa e una parentesi che restituiscono un po’ di credibilità al costume gassosaio giapponese. Quello che ci arriva dal Giappone, attraverso le notizie del web, ma ormai anche fisicamente nelle piccole china-town italiane e dai negozietti online di cibo e bevande forestieri, sembra il frutto di un folclore improvvisato e iperbolico. Una roba simile a quella dei cartoni animati nipponici che ci restituivano una interpretazione esorbitante degli sport occidentali; era obiettivamente ridicola, ma risuonava con l'esagerata deformazione epica delle nostre menti fanciulle: il calcio dei Superboys, la pallavolo di Mimì Ayuhara, il pugilato di Rocky Joe, il tennis di Jenny, il golf di Lotti, eccetera.
Il mercato dei grandi produttori giapponesi sembra non avere grandi linee di tradizione, anche per questo forse rimane aggrappato al giocattolo del ramune, la bottiglietta con la biglia da noi scomparsa negli anni sessanta, dove può essere racchiuso di tutto e spesso ci finisce una versione troppo ruffiana o strampalata di tutto. E poi via, dietro a perversioni di nicchia, come ad esempio lo scempio del mezzo-mix tedesco, per il quale l’ospitalità nipponica è un caso più unico che raro. E poi ancora via con le "maschere", a ricercare una nuova identità sulla scia dei personaggi del Catch, come la Coca e la Pepsi in versione “clear” (senza colorante) o le bombe futuriste come la Pepsi Special, la cola dietetica che non solo non fa ingrassare, ma promette addirittura di far dimagrire grazie al suo apporto di destrina. E poi ancora un tripudio di gusti che pongono l’assaggio su un piano che supera quello della curiosità, fino a porsi su quello della sfida, senza includere tra queste le declinazioni latticine, dal Calpis allo yogurt, che hanno un fondo di tradizione. In questo scenario completamente aperto, spettacolare, spiazzante, ho trovato una vera bibita, buona anche per noi; un prodotto in grado di risalire al contrario la corrente della bulimica importazione giapponese, al di fuori del gadget sfizioso o del curioso souvenir venduto oggi agli appassionati dei prodotti giapponesi. L’ho trovato nell’unico gusto nazionale con una certa riconoscibilità e tradizione, il melone. Ma quello che assaggiamo oggi non è il melone che di solito si trova nella bottiglietta di ramune; non ne ha le sembianze verdi brillanti, non la stucchevole dolcezza né il richiamo alle gomme da masticare vanigliate. Questa melon soda giapponese è una vera e propria gassosa al melone, col solo aroma del frutto nella sua schiettezza, senza fronzoli additivi, né coloranti; un sapore non dolcissimo e sorprendentemente secco rispetto al gusto di riferimento. *In Giappone la parola sidro (cider), che parallelamente resiste nel suo significato originale, sta più o meno per gassosa e ormai è quai sovrapponibile a ramune, che invece deriverebbe da lemonade, se non per il prevalente abbinamento della seconda alla bottiglietta con la biglia. Ho trovato la bottiglietta in vetro da 248 ml al prezzo di 2 euro presso uno dei market cinesi vicino alla Stazione Centrale di Napoli, ma è ormai diponibile anche in diversi negozi online di cibo giapponese e americano. Cé Baobab Imperdibile Nel 2015 l’Italia ha ricevuto il mondo. Il tema dell’Expo che si è tenuto a Milano era “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, un evento quindi dedicato all’alimentazione da cui anche le nostre bibite gassate non potevano rimanere escluse. Di questa presenza del tutto marginale ricordo ad esempio in diversi articoli online le citazioni sulle bibite analcoliche offerte nel padiglione russo, come kvas, baikal, tarhun, barbaris; un panorama a me caro finalmente aperto ad una esposizione tanto vasta. Sempre nel campo delle curiosità alimentari, ha avuto un grande successo il “crocoburger”, il panino di carne di coccodrillo del padiglione dello Zimbawe, tanto che la carne del rettile andò velocemente esaurita, lasciando la scena agli alternativi panini a base di zebra e di pitone. Per “buttare giù” questi hamburger esotici serviva una gassosa a tema e ci ha pensato la Fava Bibite di Mariano Comense che, ingaggiata dal console dello Zimbabwe, ha prodotto la bibita Baobab all’interno della sua gamma in bottigliette di vetro Imperdibile. Anche questa ha avuto un grande successo e, a differenza del suo accompagnamento originale, nel silenzio mediatico e pubblicitario successivo all’Expo, ha continuato ad essere prodotta e distribuita. Ma nel 2015 eravamo anche nel pieno di un’altra apertura al mondo; un grande flusso migratorio da paesi africani e asiatici stava interessando l’Italia; riempiva l’informazione con la continua testimonianza di drammatici sbarchi sulle nostre coste meridionali e un mare pieno di storie di speranza e disperazione che tentava di raggiungerci. Questo fenomeno nel complesso è stato gestito molto male, con l’organizzazione di una cosiddetta accoglienza completamente inefficace rispetto all’integrazione, ma molto funzionale alle strumentalizzazioni politiche e allo sfruttamento delle risorse ad esso destinate. Un fenomeno sociale ed economico la cui essenza veniva solo sfiorata dai pochi attori della grande informazione realmente interessati e più che altro indagato a partire da slogan o con riferimento a casi esemplari. Nel 2016 questa diversa “esposizione universale” ha investito anche me. A partire dal fatto casuale di un centro di accoglienza vicino casa mia e dall’incontro coi suoi ospiti, ho partecipat,o insieme a mia moglie e ad un gruppo di amici vecchi e nuovi, ad una specie di comitato di accoglienza impegnato a favorire l’integrazione di quei nostri nuovi vicini di casa provenienti per la maggior parte dall’Africa Occidentale. Un impegno mutato nel tempo, seguendo le vicissitudini di chi ha resistito alla scoraggiante ospitalità istituzionale e continua ad essere ostacolato da diverse forme di discriminazione. Abbiamo chiamato questo incontro Pianoterra e ogni tanto torniamo a celebrarlo. Nel Baobab Imperdibile c’è il succo dei frutti di un albero considerato sacro in vari paesi africani e c’è l’uva, frutto divino nelle nostre antiche radici culturali; questa bibita sarebbe dunque adatta ad un banchetto su nell’Olimpo o ai piani alti di qualche altra residenza celeste, io invece l’ho scelto per brindare al nostro piccolo incontro, al nostro scambio, al pianoterra dell’umanità. Cé 31/12/2021 In diversi capitoli di questa rubrica è stata raccontata e celebrata la storia dei chioschi catanesi con la loro tradizione delle bibite gassate. Ha una storia simile la moltitudine dei chioschi napoletani, anch'essi nati dalla progressiva stanzializzazione del mestiere dell'acquaiolo ambulante. Oggi sono innumerevoli questi piccoli monumenti di un'urbanistica spontanea e provvisoria. Molti si chiamano "chalet" e sono ormai integrati nel costume e nelle tradizioni dei quartieri in cui si trovano. Il loro prodotto più semplice e popolare è ancora la limonata, fatta lì per lì, con gli spremitori a tenaglia o i più moderni a manovella, l'acqua gassata dalle bottiglie in plastica e un cucchiaino di bicarbonato. Non partecipa più l'acqua ferrata, le cui fonti sono state chiuse nel '73 durante l'epidemia di colera, ma alcuni lo chiamano ancora "sarchiapone", altri "limonata a cosce aperte" a causa della postura che il bevitore assume per evitare di bagnarsi con la rapida eruzione provocata dal bicarbonato. Americano Le bibite dei chioschi napoletani non hanno la forte caratterizzazione e la grande varietà di quelli catanesi. È ormai scomparsa la spuma-carciofo, un tempo vessillo gassosaio cittadino, e l'aranciata Fanta è una bibita troppo internazionale per ricordarsi delle sue origini napoletane. Però esiste qui una bevanda gassata molto particolare che negli ultimi decenni si è diffusa nella jungla dei chioschi napoletani e ne è oggi diventata un prodotto tradizionale ed esclusivo. Oggi possiamo degustare l'Americano grazie ad una edizione speciale confezionata per noi dal Chiosco Aurelio. Aurelio, oltre ad essere uno dei chioschi storici di Napoli, è anche uno dei più apprezzati e famosi, tanto da aver progressivamente moltiplicato i suoi punti di vendita; alla sua sede storica della Riviera di Chiaia, se ne aggiungono oggi altri tre nel centro di Napoli. Si tratta quindi dell'ultimo passo nell'evoluzione del mestiere di acquafrescaio ritratta nelle immagini in alto, dal piccolo ambulante all'edicola stabile e infine al marchio, alla catena. Il chiosco Aurelio nasce a Chiaia negli anni '50 e ormai già da più di 50 anni è gestito dalla stessa famiglia, oggi con Marco alla sua seconda generazione familiare di acquafrescai. Marco mi ha raccontato dell'Americano come di un'invenzione di suo padre, quindi è dal successo riscosso nella riviera che si sarebbe poi diffuso in tutti i chioschi napoletani. Nelle due bottiglie che mi ha regalato per il nostro assaggio ci sono l'Americano nella sua versione standard e l'edizione "old style" con la menta al posto dell'amarena, che il chiosco Aurelio continua a produrre anche in omaggio alla propria tradizione.
L'origine del nome è perduta: neanche al chiosco Aurelio ne è stata conservata una testimonianza. Impossibile non pensare che ci sia di mezzo la grande presenza militare e diplomatica americana dal dopoguerra; è anche difficile non fare caso al fatto che il chiosco Aurelio sia a due passi dal consolato americano, uno dei più importanti e antichi in Europa. Ma è dalla conoscenza delle bibite americane che mi è da subito risultata probabile un'ipotesi: a parte la quasi universale base agrumata, i due ingredienti principali dell'amarena e della mandorla sono gli stessi della Dr.Pepper, una bibita americana molto diffusa in patria ma che in Italia non è riuscita mai a sfondare*. L'Americano potrebbe quindi esser nato per assecondare le richieste nostalgiche dei tanti americani che vivevano e lavoravano a Napoli. Se è poi lecita una fantasiosa e suggestiva aggiunta alla ricostruzione, si può immaginare l'inventore dell'Americano che saluta il presidente in mezzo alla folla acclamante, appena fuori dal campo della della foto qui sotto, scattata proprio sul lungomare di Chiaia. *Nonostante un sontuoso lancio pubblicitario nell'89 la Dr.Pepper scomparve presto dal nostro paese e solo nell'ultimo decennio è tornata a popolare gli scaffali di qualche supermercato, ma solo come prodotto d'importazione. L'Americano è generalmentre servito dai chiosci napoletani in bicchieri da 300 ml e costa 2/2,50 euro. Cé Beibingyang / Arctic Ocean Per descrivere la disfatta industriale dei grandi produttori di bibite gassate cinesi negli anni '90 ad opera dei colossi internazionali è stata usata l'immagine dell' "annegamento delle sette armate", presa in prestito da Il romanzo dei Tre Regni del XIV secolo, uno dei quattro grandi romanzi classici della letteratura cinese. Oggi assaggiamo il ritorno di una delle sette armate. La produzione industriale delle bibite gassate era già presente in Cina nella prima metà del secolo scorso e anche la Coca-Cola si era affacciata nel paese per la prima volta nel 1927, imbottigliata dalla Watson’s Mineral Water Company. Ma le bibite gassate avevano delle caratteristiche non favorevoli alla loro ampia diffusione: non erano allineate ai dettami della Medicina Tradizionale Cinese che tanto infuenzava l'alimentazione del paese ed erano dei prodotti costosi, destinati ad un consumo d'elite. Queste caratteristiche furono poi sfruttate e modificate al servizio dell'ideologia di regime. Gli effetti del ritorno di Coca-Cola nel 1981, di Pepsi due anni dopo e a seguire di altri colossi occidentali, fu sottovalutato. Inizialmente le aggressive strategie pubblicitarie della Coca-Cola crearono sconcerto, tanto da generare una restrizione legale della vendita ai soli stranieri, ma ben presto questa misure dovetta cedere alla pressione commerciale e fu ritirata. Il passo decisivo dei colossi stranieri fu però quando i più grandi marchi cinesi si legarono ad essi con stretti accordi commerciali. Volevano attingere al capitale straniero per sviluppare ed allargare il proprio mercato e invece furono prima relegati al ruolo di comprimari e infine annientati a metà degli anni '90. Solo dopo alcuni anni gli imprenditori cinesi capirono che si trattava di un piano dei colossi internazionali per eliminare i concorrenti locali. Da qui l'immagine delle sette armate annegate. In questo veloce riassunto si colloca perfettamente anche la vicenda del Beibingyang, la bibita all'arancia diffusissima nella regione di Pechino durante l'epopea delle bibite gassate cinesi. L'azienda originale è la fabbrica del ghiaccio cittadina, fondata nel 1936, requisita dai giapponesi durante l'occupazione e nazionalizzata del '49 col nome "Nuova fabbrica del ghiaccio di Pechino". Il nuovo marchio inizia la produzione di gelati nel '50 e nel '56 inizia a vendere il Beibingyang, l'aranciata con il logo dell'orso polare. Nel '94 intraprende la collaborazione con Pepsi e solo 2 anni più tardi, come diverse altre bibitei cinesi, smette di essere prodotta. Ritorna nel 2011 allo scadere dell'accordo commerciale che doveva lanciarla e che invece la teneva sommersa impedendo lo sfruttamento commerciale del marchio per 15 anni. La politica ha influenzato così tanto le sorti di questa e di altre bibite cinesi, che è impossibile non pensare ad una strumentalizzazione della nostalgia a fini non solo commerciali o immaginare che solo il gusto determinerà vicende di questo prodotto nel prossimo futuro. Per fortuna però questo sfondo scompare nell'assaggio: la gasatura fitta, il poco succo d'arancia più forte in naso che in bocca, il colorante carotene e un pizzico di sale, partecipano alla ricetta di un'aranciata insieme ottima e banale, per una bevuta generosa e dissetante. Ottima e banale... o forse dovrei dire standard, semplice, scontata, o forse l'aranciata è l'unica bibita in cui possono coniugarsi questi due aggettivi. Forse la bottiglietta in vetro che omaggia la storia del marchio non è più adatta, mentre la lattina, in cui pure è venduta, è il nuovo perfetto contenitore per una bibita che ha come riferimento gli anni della sua massima popolarità più che quelli degli esordi. Ho trovato la bottiglietta in vetro da 248 ml al prezzo di 2 euro presso uno dei market cinesi vicino alla Stazione Centrale di Napoli. Cé kvas bianco Taras (Квас Тарас Белый) Oggi ci tuffiamo di nuovo nel mondo del kvas; già esplorato e raccontato nella sua forma commerciale più standard, nella sua resistente tradizione di "bevanda della casa" presso le trattorie lettoni e nelle varianti aromatizzate dei supplementi Malto e Luppolo e Compagna Limonad. Nel 2013 il grande produttore di kvas russo Ochakovo dice di essere il primo a ripescare il kvas bianco lanciandone una produzione industriale. Per arrivare alla sua formula "ricetta di famiglia" avrebbe condotto una lunga ricerca etnografica, riscoprendo una bevanda che partecipava all'alimentazione molto meno marginalmente rispetto ad una bibita rinfrescante, entrando anche in alcune pietanze come un brodo. La Ochakovo sarebbe riuscita a riprodurre la bevanda tradizionale con una originale coltura di microorganismi capace di garantire sia la fermentazione alcolica che quella lattica nelle enormi botti del suo stabilimento. In generale il colore scuro del kvas dipende dalla tostatura del malto utilizzato; poi la progressiva prevalenza del colore nel secolo scorso potrebbe aver assecondato prima la vicinanza delle birre scure, poi il ruolo di alternativa alle cole americane. L'aggiunta di zuccheri avrebbe infine ulteriormente allontanato il kvas dalla sua originale vena acidula e salata. Questa robusta bottiglia in pet da 1,5 litri si trova a Roma nei punti vendita della catena tedesca Mix-Markt, negozi alimentari specializzati in prodotti dell'Europa orientale. Costa 2,10 euro. Cé 23/09/2021 - appendice LXXXVIII Melograno Mimì L’ho cercata a lungo e, come spesso accade, l’ho infine trovata in un luogo e in un momento inaspettati. L’ho cercata a lungo perché per molto tempo sono stato convinto che la melagrana fosse un frutto ideale per una bibita gassata; poi ho desistito perché tutti gli incontri sono stati scoraggianti. Qualcosa ho portato anche qui dentro: la francese Lorina (app. XXVII), sofisticato gassosaio della Loira, quasi come testimonianza della mia ricerca e in un certo senso del suo fallimento, per via della mediocrità del risultato. Più recentemente col Gramotto e il Bergotto Red (app. LXXXV) le ho riaperto la porta per un tentativo nel ruolo di co-protagonista. Oggi cambia tutto: la melagrana è finalmente protagonista in una interpretazione dall'esito sorprendente. Tutti i tentativi italiani da me intercettati degli ultimi anni, legati alle linee di bottigliette in vetro, hanno mirato all'estrema schiettezza del prodotto con risultati scoraggianti. Quella di lasciare il sapore intatto è una pratica buona per i succhi, ma non necessariamente per le bibite gassate che spesso traggono beneficio da un'astrazione del gusto; basti pensare che il genere più diffuso, la cola, non ha occasione di confronto col gusto originale per la stragrande maggioranza dei bevitori in tutto il mondo. Strano quindi che nessuno si sia cimentato in una ricetta non banale della bibita alla melagrana. Nel 2020 è arrivata la linea Mimì della marca Dodò* che fa riferimento principalmente alle bibite dei chioschi siciliani. Due soli gusti, mandarino verde e melograno, entrambi buoni, ma il secondo è una vera sorpresa, uno squarcio nel piattume e nell'inerzia della corrente dei bevandai veristi, una vera e propria rivelazione: SI PUÒ FARE!. Ebbene sì, nei laboratori di un bibitificio senza fronzoli, c'è un Frederick Frankenstein che si è cimentato nel filone della mela granata e ne ha tratto un ottimo prodotto. È dolce, ma non troppo, è aspra, ma non troppo e sa di melagrana, ma non troppo. Insomma la melagrana c'è e si scorge in tutta la sua opulenza sensoriale, eppure un vestito di altri aromi ne soffonde l'identità, ne mitiga l'esuberanza donandole uno squisito equilibrio in cui colto e raffinato non sono i contrari di sincero. L'unico difetto del prodotto non sta nel gusto, ma nella tenuta della confezione che lascia presto alla bibita una gasatura troppo scarsa e sottile. Se la porto in queste pagine con un anno di ritardo è per il tempo che ho impiegato a trovarne degli esemplari non sgasati. L'ho sempre comprata nella catena Todis a 89 cent per la bottiglia da 1 litro. *Dodò Commercial in realtà è solo un marchio con sede a Perugia, ma si fa produrre le bibite da terzi. Questa è prodotta da Fonte Ilaria, non nuova a capolavori nel campo delle bibite gassate economiche. Cé Poscritto: con lo stesso marchio Dodò è in vendita anche una versione in bottiglietta di vetro da 20 cl, prodotta da S. Bernardo, un'altra azienda del Gruppo Montecristo. La formula è leggermente diversa perché prevede il 25% di succo anziché il 20% della versione in pet, ma la caratteristica che la fa preferire è la perfetta tenuta della gasatura. L'ho trovata presso alcuni supermercati Conad al prezzo di 3,49 euro per la conferione da 4 bottigliette. 12/04/2021 - appendice LXXXVII Genki Forest cucumber Sembrava impossibile che la tracotanza produttiva e commerciale della Cina, cimentata in ogni gadget e bene di consumo, non invadesse anche questa specie di giocattolo alimentare delle bibite gassate. Così, dopo la misera rappresentanza dello sportivo Jianlibao (app. XI) e del singolare Cock Brand Lychee (app. XXXIX), torniamo finalmente a qualcosa di cinese. Qualcosa da un popolo non avvezzo al gassato, concentrato com'è sui suoi tè e le loro molteplici declinazioni, cionondimeno mal disposto a farsi sfuggire una fetta di economia globale. Con queste premesse viene fondata nel 2016 la marca Genki Forest presto laureatasi "unicorno", ovvero nuova impresa che raggiunge una valutazione superiore al miliardo di dollari. Dal un loro sito web: "Genki significa buona salute o energia nella cultura giapponese". Hanno quindi avuto bisogno di un prestito, partendo dal nulla, ma anche di un modello: in un'intervista recente il loro capo ha espresso l'ambizione aziendale di diventare la Coca-Cola cinese. Con una gamma di pochi prodotti di tè e bibite gassate, Genki Forest è dunque partita alla conquista del mercato cinese e all'espansione nel Sud-Est Asiatico. La sua enorme e veloce espansione ha fatto leva su una moderna strategia di marketing che ha invaso tutti i media coinvolgendo testimonial famosi, collaborazioni con brand di altri settori e la sua stella polare di Tik Tok, con lo stesso target di età tra i 10 e i 40 anni; inoltre ha puntato molto sul canale di vendita online. Ma almeno il messaggio e la formula di questa bibita cinese si appoggiano su qualcosa di nuovo? Più no che sì. "Zero zuccheri, zero calorie, zero grassi" (più senza-glutine e no-ogm) sono presentati come slogan rivoluzionari quando popolano da decenni le pubblicità delle bibite dietetiche. Unica novità degna di rilievo è lu'tilizzo del costoso eritritolo come dolcificante naturale acalorico*. Anche questa però è ridimensionata nella portata, per l'impossibilità di valutarne l’apporto dolcificante nella ricetta, vista la compresenza del sucralosio (sintetico), circa 800 volte più potente. In questo somiglia all'ultimo e ormai abbandonato utilizzo della stevia della Coca-Cola. I gusti globali delle bibite gassate sono tre: pesca, arancia e cetriolo; più qualcos'altro, come uva e mela, per i singoli mercati. Per questa presentazione ho scelto il cetriolo, di gran lunga il più interessante nelle premesse. Non si tratta di un inedito, essendo stato preceduto ad esempio dall'edizione limitata della Sprite Zero Gusto Cetriolo nell'estate del 2018, ma è comunque una rarità oltre che una frontiera moderna. Tirando le somme, buona l’idea di non usare alcun colorante in presenza di un messaggio salutista all'interno del quale, più che come bibite analcoliche, sono presentate come acqua frizzante aromatizzata; buona l’idea di adottare un gusto come il cetriolo senza tanti confronti; niente più di questo: tutto il successo è basato su una strategia di comunicazione e commerciale che, per quanto efficace, non blandisce le nostre papille gustative. Troppo poco per l'ambizione di ripercorrere, 130 anni dopo, la strada della Coca-Cola. Trovata in un alimentari cinese a due passi da Piazza Vittorio. La confezione unica è la bottiglietta in pet da 480 ml con un'etichetta che ne ricopre tutta la superficie. * L'eritritolo insieme alla stevia e al monkfruit sono i soli dolcificanti di origine naturale e con zero calorie che si sono affacciati, senza ancora riscuotere un grande successo, nel mondo delle bibite gassate. Cé 23/03/2021 Dr. Brown's Cel-Ray È americanissima, non si trova niente con simili premesse altrove, ma come molte altre bibite gassate tipiche americane è caratteristica solo di una parte degli States. La Cel-Ray è una gassosa al sedano che affonda le sue radici nella storia delle american soda e mantiene il suo habitat a New York, dove è nata e dove continua ad essere prevaleentemente venduta nei negozi di gastronomia ebrei. Il gusto viene dall'estratto dei semi di sedano, più altri imprecisati aromi naturali. Io sento il sapore principale molto tenue, in un miscuglio dolce-amaro in cui spicca lo zucchero caramellato e si affaccia un poco di vaniglia. Lontano da una cream soda e da altri standard connazionali, originalmente plausibile come bibita da pasto veloce. La sedanata del Dr. Brown non era l'unica agli albori delle bibite gassate americane, tra le soda fountain della seconda metà dell'800 e il progressivo passaggio all'imbottiglimento. Ad inizio '900 diversi marchi avevano raggiunto una certa popolarità con questo gusto botanico, come ad esempio la Lake's Celery o la Celery Cola, in cui sarebbe addirittura coinvolto un ex socio del Dr. Pebberton. Ai tempi nostri invece Cel-Ray è solo una bibita di nicchia e un'icona; la stessa Dr. Brown, passata più volte di proprietà nella sua lunga vita, vende oggi molto di più altri suoi prodotti come black cherry, cream soda o root beer. Con questo "champagne" intendo anche festeggiare in ritardo il decennale di Aromi & Bollicine, per una qualche consonanza. Ha resistito tanti anni rimanendo un classico fuori-moda, è stato superato dagli altri gusti della stessa marca pur essendo quello più distintivo, ma soprattutto è rimasto solo, unico sopravvissuto di una potenziale stirpe di celery soda, duro come un monumento antico, ormai incapace di generare emulazione. Se sei arrivato a leggere fino qui in fondo, forse ti senti un po' come un newyorkese di sette generazioni che per gusto, curiosità, campanilismo o affetto, esce da un negozio "delicatessen" con il suo panino pastrami in una mano e una strana gassosa nell'altra. Forse per via della sua stravaganza, è entrata nella rotazione delle american soda vendute nei negozietti online di cibo e bevande americani; l'ho comprata da uno di quelli pagando circa 2 euro la lattina da 355 ml. Cé Gramotto Per parlare di questa devo iniziare da un'altra, che l'ha preceduta e ne è stata sicuramente l'ispirazione: il Bergotto (vedi app. IV), la bibita frizzante al bergamotto dell'azienda La Spina Santa di Bova Marina (RC), che ha dato origine ad una grande stirpe di prodotti simili. Ebbene la bibita di oggi, il Gramotto, viene da questa stessa scia: al bergamotto calabrese unisce il "melograno italiano", da cui trae la connotazione più forte, anche nel vivace colore rosso, e viene imbottigliato dal Consorzio Motta, nel paese di Motta San Giovanni, solo ad una trentina di chilometri dalla tana del Bergotto. L'originale, deciso e spigoloso mix di melagrana e bergamotto non ha (ancora) generato tutti i proseliti commerciali del suo primo ispiratore, ma è curioso che l'unica imitazione venga proprio dai produttori del Bergotto. La Spina Santa infatti, dopo aver allargato la produzione di bibite gassate a chinotto, acqua tonica e gassosa al caffé, è passata al Bergotto Red, la sua personalissima interpretazione della miscela in questione. Gramotto Bergotto Red Ho acquistato il Gramotto presso un grossista di bevande in Calabria, dove l'ho trovata in vendita anche in alcuni negozi di prodotti tipici. Si può comprare online da diversi siti, a partire da quello ufficile, fino al rivenditore attivo in questo momento su Ebay, che ha i prezzi migliori. Cé 28/09/2020 birch beer Boylan Riapro una finestra sulle bibite gassate americane. Questa volta tocca ad un antico standard, con alterne fortune, ma sempre presente nella tradizione delle american soda; si tratta della birch beer, oggi forse un po' dimenticata e relegata ad una nicchia commerciale, ma viva anche per via della moda delle "craft soda" che prolifera anche grazie a prodotti caratteristici, meglio se con una storia da raccontare, insieme a quelle più o meno ordinarie sulla presunta artigianalità. Il nome, birra di betulla, dice molto sulla storia, oltre che sull'ingrediente caratterizzante di questa bibita. Similmente alle altre moderne "birre analcoliche" come root beer e ginger beer, nasce dall'evoluzione di una "small beer", una bevanda fermentata con bassa gradazione alcolica, liberandosi progressivamente di quest'ultima con la possibilità di acquisire la gasatura direttamente per iniezione di anidride carbonica nei processi di produzione. Qualche fonte dice anche che l'origine è dalla tradizione delle small beer tedesche e questo spiegherebbe anche la sua concentrazione regionale nell'area dei Pennsylvania Dutch, la popolazione tedesca immigrata in America nel XVII e XVIII secolo. Nonostante la sua lunga storia di bibita, intrecciata con quella delle altre gassose americane dalle soda fountain alle lattine e bottiglie in pet, la birch beer è venduta quasi solo negli stati del nord-est degli USA e poco conosciuta negli altri. Da quando non viene più prodotta per fermentazione, la birch beer si ottiene con l'essenza di betulla ricavata dalla corteccia o dalla linfa e ancora oggi conserva questo, nella sua versione naturale, come ingrediente quasi unico. Ciò ne fa un prodotto più netto e tradizionale rispetto alla root beer e alla sarsaparilla americane alle quali è spesso accostato in una macro-categoria popolata da soda con forti aromi vegetali balsamici nordamericani. Se la root beer è per il mondo delle bibite americane qualcosa di simile al nostro chinotto, la birch beer è paragonabile al rabarbaro: ancora più radicale, ancora più netta nel gusto e molto meno popolare. La birch beer viene di solito imbrunita in diverse sfumature con il colorante caramello E150, lo stesso delle cole, ma può essere venduta anche rossa o senza colorante, come una nostra gassosa. Le più famose marche che la producono sono: Pennsylvania Ducth, Kutztown, e Boylan; a me è capitata tra le mani quest'ultima, una ditta di Patterson (New Jersey) che vende tutte le proprie bibite in bottigliette di vetro ed ha un grande successo nel suo settore, non solo con le vendite, ma anche con la critica, infatti i suoi prodotti si classificano spesso ai primi posti della varie classifiche per tipo di soda nei test di assaggio. Anche per questo sono sicuro che stiamo provando una birch beer perfettamente rappresentativa del genere e che lo sbigottimento provocato dal suo gusto non ha niente a che fare con la qualità o con l'interpretazione del produttore. L'ho comprata insieme ad altre bibite in un negozio italiano online di cibo e bevande americane. La bottiglia da 355 ml costava 1,99 euro. Cé 02/08/2020 30/06/2020 - appendice LXXXIII J.Gasco Cacao Cola La storia di un groviglio di pregiudizi, che si scioglie in bocca. Chi come me adora smisuratamente sia la Coca-Cola che la cioccolata, probabilmente ci ha provato, ma sa che non sono gusti accostabili. Se consumati vicini, si rovinano a vicenda. Non che tutti i singoli aromi delle cole costituiscano un'obiezione, non ad esempio vaniglia e cannella, allora forse è il gassato il problema principale: l'uno solletica, l'altro, il cioccolato, unguenta le nostre papille. Infatti sono rare e quasi tutte americane le "chocolate soda". Come può allora funzionare una cola al cacao? Francamente mi sono accostato a questo produttore senza grande fiducia. Uno dei molti nuovi marchi di bottigliette di bibite gassate sofisticate, sbilanciato sulla mixology e con in più il poco credibile richiamo ad una storia leggendaria. La storia del mitico Giuseppe Joseph Gasco, che "comincia nei primi anni del ‘900, nell’America dei sogni e delle grandi opportunità" e che continua, sempre lui, senza arrendersi agli anni (ma quanti ne avrebbe?) "raggiungendo oggi il gusto unico di soft drink creati con ingredienti di alta qualità. Tutto raccontato brevemente, con foto da archivi web, su un sito con estensione .biz. Come può funzionare una bibita raccontata in questo modo? Pure l'etichetta non convince. "Soft drink made using the best italian stuff" è forse pensata per prodotti più agrumosi e dimenticata anche su questo, altrimenti dovremmo immaginare piantagioni di cola e cacao nella nostra penisola. Come può funzionare un prodotto con questa premessa? E invece funziona. L'ho comprata in un negozio Promo-Club ordinandola online: 1,39 euro per la bottiglietta da 200 ml. Cé Fanta Green Apple Abbiamo incontrato e raccontato molte bibite alla mela, ne abbiamo apprezzato varie versioni, tanto che la protesta verso la latitanza del gusto nellla produzione nostrana è diventato un cavallo di battaglia della rubrica. Adesso però incontriamo un'altra cosa ancora, perché la mela-verde nelle sue derivazioni liquide e dolciarie è un frutto a sé stante: il suo colore omogeneo e vivace, amplificato nella rappresentazione, è un punto di rottura, sia con le mele rosse delle favole, sia con quelle dai colori più incerti e tenui della fruttiera domestica. La Fanta Green Apple è un prodotto schock, trendy e provocante, tutto il contrario delle consuete bibite alla mela, infatti, nei paesi in cui è stato venduto, è stato sempre un prodotto in edizione limitata o comunque non è sopravvissuto a lungo all’obsolescenza della sua indole dirompente. Si caratterizza per distanza dalle altre mele: il suo verde acido sembra sentirsi forte prima al naso e poi in bocca, fino alla percezione sinestetica di gustare una gazzosa fluorescente. Così radicale e surreale da ingolosire con uno strattone, ha un gusto che sembra funzionare molto bene, almeno sulla breve distanza. Peccato per la scia, ma questo è un difetto della sua identità americana: la sensazione secca e quasi limonosa sviene sul finire, ricoperta da da uno strascico cremoso-vanigliato a cui le sode statunitensi rinunciano raramente. L'ho comprata online, in uno dei tanti negozietti italiani di cibo e bevande americane sul web. In alcuni casi questi negozi hanno anche dei corrispondenti fisici nelle grandi città. Online queste lattine costano in genere tra 1,60 e 2 euro e la spedizione del pacco tra 5 e 8 euro, rendendo convenienti gli acquisti multipli. Cé 21/04/2020 Fernet Santalucia "Alcune persone nascono, sai, con nomi sbagliati, genitori sbagliati. Voglio dire, succede". Così rispondeva Bob Dylan in un'intervista del 2004 quando gli veniva chiesto perché avesse cambiato il proprio nome. Non stava parlando solo del nome, ma in generale del destino di un uomo e della necessità di custodire il percorso della sua realizzazione. Robert Allen Zimmerman aveva iniziato a usare quello pesudonimo già al college di Minneapolis, ma lo fece legalmente suo solo a New York, dove si trasferì nel '61 ed iniziò la realizzazione del suo magnifico e avventuroso destino artistico. Il nome e l'origine del Fernet, il famoso amaro quasi italiano, sono avvolti nella leggenda. Anche lui ha però fatto un viaggio, insieme ai migranti italiani in Argentina che confidavano nelle sue proprietà di digestivo, antimalarico e contro il mal di mare. E in Argentina è diventato una specie di liquore nazionale, ancora più diffuso che in Italia. Lì però ha anche dato vita ad un altra bibita che è entrata nella tradizione nazionale, il cocktail fernet-cola, diffuso a partire dalla provincia di Cordoba col nome di Fernandito. La miscela è diventata così popolare che anche la F.lli Branca la cita sul proprio sito, anche se con l'improbabile proporzione 9/1 a favore del proprio prodotto... in realtà gli stessi Fernandito imbottigliati e venduti già pronti riportano una gradazione del 4,5% nella versione standard e 8% nella "forte" o "doble", suggerendo una più diffusa e appetibile percentuale di liquore tra il 10 e il 20%. La scorsa estate la Santalucia di Napoli ha lanciato una nuova linea di bibite in bottigliette in vetro da 10 cl e tra queste c'era un gusto inedito: il fernet. Non sono a conoscenza di altri esperimenti simili, ma questa mossa mi è sembrata subito azzeccata, fin da quando ne avevo appreso il progetto con mesi di anticipo. La realizzazione mi ha colpito ancora di più, fino a meravigliarmi che questo fernet analcolico non sia diventato negli anni '50 o '60 un vero e proprio standard di amaro/digestivo frizzante, quando altre spume, bitter, chinotto e rabarbaro si contendevano il primato di categoria. Ma come per diverse altre bibite legate all'universo alcolico mi affido anche alle sapiente consulenza dell'esperto Freeluther. Da moderato appassionato di amari ed infusi limitrofi e spinto anche da una naturale pulsione postprandiale, mi accingo a stappare questa insolita bevanda analcolica "Fernet Amaro mille erbe", prodotto dalla bibite Santa Lucia. Sulla carta si tratta sicuramente di un coraggioso ed apprezzabile tentativo di proporre, sotto una nuova veste leggera ed analcolica, il più classico degli amari del panorama digestivo italiano. Stiamo parlando dell'intramontabile Fernet, sempre presente in qualsiasi bar o ristorante della nostra bella Italia e compagno fedele del nostro dopo pranzo. Ma veniamo a noi. Lo sfizzz che accompagna il salto del tappo è moderato, segno di una gasatura non invadente, così come la spuma che scaturisce dall'ingresso nel bicchiere. Il colore ricorda ovviamente il più classico degli amari ed è decisamente scuro come da tradizione, sicuramente anche aiutato da una punta di caramello. Già al naso si percepiscono distintamente le note caratteristiche delle erbe simbolo del Fernet, con prevalenza a mio parere di genziana e rabarbaro a discapito del carciofo, comunque presente. Al palato la nota aromatica è inizialmente abbastanza leggera, mentre la persistenza del retrogusto più amaro delle erbe è decisamente al di là delle attese. La sensazione finale è abbastanza buona, lasciando la bocca piuttosto fresca e pulita. Nel complesso un piacevole esperimento che, mi sento di dire, da ripetere. Manca ovviamente lo spunto derivante dalla assenza alcolica, ma la sostanza c'è e la sensazione di soddisafzione digestiva, o apparente tale, anche. Promosso. Freeluther, 19 gennaio 2020. La Santalucia, a parte una mediocre gamma di bibite economiche, aveva già dimostrato una brillantezza creativa, ad esempio con la Melannurca, una bibita che non ha mai visto la produzione commerciale in attesa di commesse sostanziose ancora non verificatesi, ma già vincente nell'idea di adottare un prodotto così diffuso e insieme connotato territorialemnte; così apparentemente adatto ad una bibita dolce e secca al tempo stesso. Cé Uno dei criteri col quale ho selezionato fino ad oggi le bibite di cui raccontare, è quello di dare testimonianza di tutti i gusti con cui siano state concepite le bevande gassate, indipendentemente dal successo della ricetta. Esistono ancora tanti gusti bizzarri inesplorati, come ad esempio le bacon soda americane o i ramune al curry giapponesi, ma queste sono bibite che hanno un senso ristretto alla loro stravaganza e nell’ambito regionale in cui sono vendute. Poi esistono dei gusti che sono inaspettatamente rari, perchè legati a vegetali ampiamente utilizzati nel consumo diretto e adottati in ricette dolciarie. Di alcuni addirittura non vi è praticamente traccia e allora bisogna attrezzarsi e provare a produrli da soli. E trovargli un nome. Come nascono e si impongono i nomi delle bibite? Se non sono nomi storici, devono affermarsi con un marchio che genera imitazioni o dal convergere di più produttori che adottano la stessa dicitura. Ci sono alcuni esempi notevoli da cui trarre ispirazione: in Italia si è imposto il nome “Ginger” su una bibita amarognola e colorata di rosso, come risultato di una larga adozione di un nome originale, perché non contiene necessariamente lo zenzero tra gli ingredienti; in Sudafrica è diffuso il genere “Iron Brew”, che nasce a New York a fine ‘800, ma di cui nonn rimane quasi traccia un secolo dopo, tanto da far scambiare le bibite sudafricane per un’imitazione della celeberrima Irn Bru scozzese; in Germania la dissennata usanza di miscelare cola e aranciata ha dato vita al genere “Spezi”, ma Spezi è anche il nome del primo imbottigliatore e di un marchio dato in licenza ad un consorzio di produttori. Sempre nel campo dell'ambiguità tra nome e marchio, ci sono diversi casi nell’Europa dell’Est di nomi di bibite che sono diventati gategorie nel libero mercato, come l'Etar bulgaro e il Frigusor moldavo, oppure sono stati trattenuti da un’unica azienda, come la Kofola ceca e il Brifcor rumeno. Con la bibita di oggi, che nasce da una ricetta originale di A&B, vogliamo estendere questa nomenclatura e legittimare una nuova inedita clamorosa categoria di bibite gassate. Tra tutte quelle che sono state giudicate tali, nessuna ha portato con altrettanta legittimità questo nome. Cacata Non esistono nel mondo gassose al cachi, nonostante le favorevoli premesse di un gusto tanto succoso e dolce e di un vena secca/allappante, che di solito costituisce una proprietà favorevole. La ricetta della Cacata è piuttosto semplice e si fonda sullo sciroppo della mia consorte, che lo ha preparato cuocendo solo la polpa del frutto e aggiungendovi zucchero. Lo sciroppo è stato miscelato ad un'acqua molto gassata, in bottigliette in cui è stata immersa una fettina di limone con scorza. Non c’è copyright o gelosia in questa ricetta, ma voglio mettere in chiaro una cosa con chi cerca in ogni modo di “ingentilire” la carriera di questo nobile ed antico frutto, questa nuova bibita non è una spuma al loto, è una cacata. Cé Poscritto: è bastato lasciare indugiare più a lungo la fettina di limone nella bottiglia, che la cacata perdesse buona parte della fragile porzione non zuccherina del cachi a favore dell'agrume, ma si trasformasse in una bitita molto più gustosa, mantenendo un sapore originale. Alla fine giungiamo al chinotto. Il chinotto è ormai definitivamente una bibita tradizionale italiana, come la più antica cedrata, e più di molte altre bibite di nicchia o regionali, grazie alla sua diffusione e forse anche al doppio polo della produzione della materia prima: la riviera savonese al nord, Calabria e Sicilia al sud. Con la cedrata condivide anche la pericolosa caratteristica normativa delle bibite al gusto di " frutto non a succo", che le permette di adottare formule senza traccia del vero agrume. Chinotto - Borea & Rossi Proprio dal lungo percorso di ricerca del "chinotto dei chinotti", nasce l'esigenza di documentare la varietà incontrata. Vale la pena di farlo con prodotti che in qualche modo si sganciano dagli standard del mercato, come il "Chinotto Bianco" che assaggiamo oggi. Il chinotto, come la cola e forse in opposizione a questa, adotta arbitrariamente e quasi senza eccezioni il colorante caramello, almeno dal dopoguerra. Eppure di eccezioni celebri ne hanno avute perfino la Coca Cola e la Pepsi, con le loro versioni "clear", "crystal" o "white" che si sono succedute fino a ricomparire negli ultimi anni*. Il sapore del Chinotto Bianco di Borea & Rossi non rincorre nessuno degli standard diffusi e assomiglia forse più a un crodino chiaro. Ha un gusto secco e lo zucchero è dosato con parsimonia; ha una percentuale di estratto dell'1%, doppia rispetto a molti riferimenti commerciali, che insieme al contributo di succo (0,95% di arancia e 0,05 di chinotto) creano un gusto agrumato indecifrabile con una nota affumicata. Non il mio preferito. Non IL chinotto", ma certamente UN chinotto e degno di menzione. Trovo la bottiglietta in vetro da 275 ml a partire da questa estate in alcuni supermercati Carrefour di Roma al prezzo di 1,39 euro. * La prima comparsa di una versione chiara per le cole famose è stata la mitologica "White Coke", un prodotto speciale nato dall'apprezzamento del maresciallo sovietico Zukov che conobbe la bevanda americana grazie ad Heisenhower, generale delle forze alleate. Zukov ottenne nel 1946 la fornitura di una versione della Coca-Cola non colorata grazie all'intercessione del presidente statunitense Truman, per poterla bere senza mostrare apprezzamento per un'icona americana. ** Ho assaggiato anche il Basilichito e il Timo e non mi sono piaciuti per niente, neanche con la curiosità per le bibite strane e la simpatia per questo progetto sui gusti nuovi e legati al territorio. Magari nella mixology potranno ritagliarsi un ruolo, ma come classiche bibite gassate rinfrescanti mi sembrano totalmente sgraziate. Cé 30/04/2019 - appendice LXXVIII b Ramune al cocco Un altro ramune, un altro gusto difficile da trovare. Con l’assaggio di oggi siamo di fronte ad una versione “giocattolo” di una gassosa al cocco; di nuovo, come nel caso del ramune allo yuzu dello stesso produttore, in cui pure viene adottato l’aroma artificiale. Ne deriva l'impressione che da questi ramune sarà difficile raccogliere qualcosa di interessante sul piano strettamente gustativo, mentre probabilmente potremo in futuro ancora attingere alla categoria per prodotti singolari o estremi. Stesso negozio di alimentari giapponesi nella zona della fermata Cipro della metro A; stesso prezzo: 2,49 euro a bottiglietta. Cé 01/04/2019 - appendice LXXVIII a Eccomi qui, in una "seduta" di assaggio di bibite giapponesi, insieme a chi 4 anni fa mi aveva riportato dalla terra del sol levante la Calpis Soda, una delle maggiori stravaganze gassate locali. Indosso l'altro loro souvenir: una maglietta su cui sarebbe stato traslitterato "Soda alla Vaccinara". Ramune allo yuzu Lo yuzu è un agrume coltivato in Cina, Corea e Giappone e usato in varie forme nelle cucine di quei paesi. Un ibrido rugoso di forma simile al mandarino e dal colore giallo-verde più vicino al limone. Aromaticissimo e pertanto usato come condimento piuttosto che come frutto fresco. Più facile rivolgersi direttamente al mercato giapponese, dove fanno bibite gassate perfino al curry, figuriamoci ad un frutto di connotazione nazionale. E infatti ho trovato il ramune allo yuzu che assaggiamo oggi. Purtroppo il ramune in generale ha una vocazione di giocoso intrattenimento, per cui non ci permetterà di apprezzare l'eccezionale aroma adottato nella culinaria più sofisticata, ma solo di farcene una vaga idea. Per di più questo ramune non contiene neanche una parvenza del frutto vero e proprio, ma soltanto il suo aroma artificiale. L'ho trovato in un negozio di alimentari giapponesi nella zona della fermata Cipro della metro A. Costa 2,49 euro a bottiglietta e si può acquistare anche online. Cé Pescamara - Tassoni Per quasi sessant'anni non si sono mossi e hanno venduto solo una bibita gassata, poi si sono scatenati. È un fatto raro questo di tradurre in bibita gassata un qualche gusto già noto ma non proveniente dal mondo delle bevande: la maggior parte delle nuove bibite italiane degli ultimi decenni ha tratto ispirazione da sapori già diffusi tra gli alcolici o è il frutto dell'importazione di formule già adottate in altri paesi. Il tentativo della Pescamare è anche solo per questo motivo interessante. Più difficile dire se sia un tentativo riuscito: i due sapori sono entrambi appetitosi, ben fusi ma apprezzabili; il problema è che, mentre trovo la pesca un sapore adatto al genere e inspiegabilmente mancante tra le nostre bibite, considero il gusto della mandorla molto più adatto alle bevande lisce. Il mercato stesso in Italia ha quasi definitivamente confinato l'orzata nel dimenticatoio e clamorosamente respinto la Dr. Pepper, apprezzata in molti altri paesi. Avrei puntato solo sulla pesca, magari aggiungendo un richiamo aromatico dai suoi aulentissimi fiori, per poi disegnarci attorno un'etichetta. Per quanto mi riguarda, dunque, due buone nuove e un'inciampo: c'è una ditta storica che mostra vitalità tra le bibite gassate e lo fa, quasi da sola, senza seguire percorsi già tracciati; però con l'ultima trovata non c'ha azzeccato. Tra i nuovi prodotti Tassoni, anche se è l'ultimo, è quello che incontro meno spesso. Fin dal lancio la trovo con continuità all'ipermercato Auchan di Parco Leonardo. Cé 07/11/2018 Aranciata amara & Zenzero Sono di parte (avversa) e ho difficoltà a recensire questo prodotto: non amo nessuno dei suoi tre elementi fondanti, sicché la loro miscela rappresenta per me una specie di ideale negativo del gusto. Ma si tratta del mio gusto personale, e invece questa bibita merita una presentazione per vari motivi. Prima di tutto perchè è un'eccezione nel panorma sterile delle pur nuove bibite bitter da discount, abbastanza uniformi nel proporre da pochi anni nei pet da un litro l'acqua tonica, il pompelmo e l’unica relativa novità del bitter lemon. Poi perchè scardina i vincoli di un prodotto di nicchia come l’aranciata amara, ormai più vicino a un luogo comune che a una bevanda. Infine e più in generale perchè costituisce una novità assoluta partendo dal basso di una proposta molto commerciale anzichè da una fighissima etichetta dal nome ammiccante a fantasiosi appigli storici che imbottiglia solo in ampolle dalla forgia originale. Il mix di amaro e piccante è una forte scossa in gola e nel naso; una roba che si concilierebbe meglio con una spruzzata di limone rispetto al quinto di succo d'arancia imposto dalla denominazione e dalle ultime norme in materia. Cerco di immaginare un'occasione per questa bibita e non vedo ragazzini nei paraggi; mi sembra di scorgere, tra gli altri, qualcuno in posa: la assapora con la smorfia di chi ritrova una vecchia conoscenza di cui sarebbe troppo lungo raccontare; è una storia che fa male, ma che sa di vita vera. La si trova in vendita nella bottiglia in pet da 1 litro presso i discount D-più con l'etichetta Delidor, in una linea lanciata questa estate che include anche chinotto e ginger beer, spesso avvicendate nelle offerte da volantino. Io l'ho presa al D-più di Via Boccea, pagando 49 cent la bottiglia in pet da 1 litro. Cé 22/10/2018 15/10/2018 08/10/2018 09/07/2018 Sono passati 13 mesi da quando assistevo critico alle goffe mosse della Coca Cola nel mercato delle bibite dietetiche (appendice LXVII b). Il concorso che aveva indetto ad agosto 2017 offrendo un milione di dollari a chi avesse trovato un nuovo surrogato acalorico dello zucchero non ha dato esito, intanto ha rinnovato l'estetica dell'intera gamma e preso altre decisioni avventate, come quella di accantonare il marchio "Life" confinando la stevia alla nuova "Coca-Cola Zero Calorie anche con estratto di stevia"... un nome pratico, da usare in espressioni giovanili tipo: "dài fra', andiamoci a fare una Coca ZCACEDS" Green Cola Però l'attività dell'industria Coca Cola nell'ultimo burrascoso decennio di crisi del mercato delle bibite e di crisi economica generale, non si è limitata al maquillage delle etichette e a ragionare sulle percentuali di dolcificanti. Ha soprattutto "razionalizzato" i propri impianti, che vuol dire, anche in presenza di grandi utili, che ne ha chiusi diversi, anche in Italia. Il gusto non è granché e il sapore tipico della cola è smorzato da una prevalenza agrumosa, ma la sua distanza dallo standard non è detto che sia uno svantaggio. Eppoi questa non è tanto una cola, quanto una bibita alla stevia. Alla fine del 2017 l'ho vista per la prima volta in un supermercato Panorama e oggi la trovo con continuità anche nel Pam sotto casa. Ha un'etichetta scritta tutta in italiano e costa 50 centesimi a lattina. *Sono poche le cole che rinunciano al colorante caramello; tra le italiane ricordiamo la Cola Coop (vol. 23) che pure adotta l'estratto di malto d'orzo per imbrunire la miscela Cé Qui dentro si parla di aromi e di bollicine perchè questi sono i due elementi fondanti la categoria delle bibite gassate. Una volta sottintesa l’acqua, senza la quale non ci si troverebbe neanche nella categoria delle bibite, un solo altro elemento è praticamente sempre presente, il dolcificante. Che sia lo zucchero, il fruttosio, la desueta saccarina, l’aspartame o i modernissimi glicosidi steviolici, il dolcificante caratterizza le bibite gassate fino a diventarne l’elemento principale nelle campagne di demonizzazione salutiste: la si chiama guerra alle bibite gassate, ma in realtà il nemico principale sembra essere lo zucchero, che apporta calorie viziose senza contraltari nutrizionali. In questa doppia appendice peschiamo in Grecia due prodotti con approcci radicali al tema del dolcificante. lemon soda - Tuborg Con le scorribande insulari di Chios e Creta, abbiamo toccato solo elementi particolari della questione delle bibite greche; oggi entriamo nel suo cuore più antico e universale, con una bibita che nella sua essenzialità ci riporta alle origini delle bibite, proprio come la Grecia antica sta al centro delle nostre origini culturali. Il condimento più utilizzato delle prime bibite frizzanti veniva dal succo del limone, tra bollicine naturali o generate dalla soda; e soda è diventato anche uno dei nomi dell'acqua gassata. Oggi in Europa per soda o club-soda si intende generalmente un'acqua molto gassata, spesso con forte presenza di minerali che partecipano al gusto nella sua funzione di mixer per cocktails. La lemon soda di oggi fa riferimento a questo uso del termine "soda" anzichè a quello americano, in cui diventa sinonimo di bibita gassata (carbonated soft drink), che viene invece richiamato per esempio dall'antico marchio italiano Lemonsoda. In Grecia, come in gran parte d'Europa l'acqua frizzante non è diffusa come da noi, è una bibita generalmente costosa e venduta per lo più in bottiglie di vetro e la club-soda è molto più diffusa che in Italia, sorpassando la tonica nella sua funzione di mixer. La lemon soda che gustiamo oggi è uno dei tanti prodotti greci che è possibile trovare in commercio con questo nome. È probabile che queste sode al limone siano tornate di moda negli ultimi anni e infatti quella della Tuborg è stata lanciata solo nel 2016, ma hanno sicuramente nel paese degli storici predecessori alle origini dell’attività gassosaia greca. Nella sua connotazione di bibita antica, la si può anche considerare come una versione leggera del seltz limone e sale della Sicilia orientale. La scelta di un prodotto così poco rappresentativo nelle premesse, col suo marchio straniero e la recente introduzione sul mercato, è in realtà legato alla fedeltà del prodotto alla sua originale formulazione; i suoi concorrenti infatti sembrano preferire al succo di limone un aroma molto più simile alla citronella, la cui maggiore pungenza balsamica avrà forse una ragione nella sua veste di mixer, ma non certo nel modello di bibita ancestrale che rappresenta la soda al limone. C'è da dire poi che non è la Tuborg danese a produrla, ma la greca Olympic Brewery dell'enorme gruppo Carlsberg. In conclusione questa lemon soda è insieme antica, nell’ispirazione, e moderissima nella sua ambizione di attrarre attraverso l’essenzialità un consumo attento agli aspetti dietetici. È moderna anche nel suo sostituire la pratica apparentemente banale di aggiungere all’acqua gassata un po’ di succo di limone fresco e... sempre attuale nel rivenderlo a caro prezzo. La Tuborg in Grecia è leader nel settore della tonica e della club soda e nel 2017 ha affiancato alla Lemon Soda, altri due gusti: la Lime-Green Tea Soda e la Orange-Cinnamon Soda. Cé Frutti Rossi - Tomarchio Anche per le bibite la Sicilia è una regione a statuto speciale. Le sue tradizioni, l'isolamento industriale e logistico hanno concorso a preservarle ricchezza e peculiarità nel nostro campo. Ci sono tre grossi produttori e imbottigliatori come Polara di Modica (RG), Tomarchio di Acireale (CT) e Sicilbega di Torrenova (ME), che hanno assorbito senza annullare altri marchi storici come Partanna e Cucinotta; sopravvivono diverse aziende antiche come La Mattina, Forte, Bona, che resistono allargando l'attività ad altri campi o rilanciandosi con un nuovo stile; si affacciano giovani imprese di nicchia. Molti marchi, anche stranieri, si richiamano agli agrumi siciliani, ma anche il fico d'India ha una sua pecurialità regionale. La sua grande diffusione e larga coltivazione, così come l’ampia adozione nella cucina siciliana, hanno fatto diventare questo frutto, originario del Messico e diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo, un prodotto tradizionale (sciroppo dolciario, liquore, etc....). È una bibita molto particolare e con un gusto inedito, ma non un prodotto riuscito. Assomiglia ad un altro inciampo della Tomarchio con ottime premesse: la Melagrana vestita in bottiglietta di vetro. Come questa, la Frutti Rossa è fin troppo succulenta e finisce per assomigliare più ad un succo di frutta che ha una gassosa, con la percezione amplificata dall'abbondante colorazione data dal succo di carota nera. L'asprezza e la dolcezza sembrano prendere strade separate anziché bilanciarsi in armonia. Mi sembra addirittura essere un prodotto più concettuale che uscito da una selezione di progressivi assaggi, anche per la presenza dello zucchero di canna che non ricordo in altri prodotti confezionati in bottiglie di pet. L'ho acquistata online tramite il pratico servizio del sito del produttore. La confezione da sei bottiglie in pet da 1 litro più la spedizione mi sono costate 15,70 euro in tutto. *le altre due bibite della gamma uniscono chinotto e menta piperita e, nel miglior prodotto della linea, chinotto e mirto. Cé 09/01/2018 Uludağ Gazoz Sono stato a Cipro, anche se non posso dire di averla visitata adeguatamente per farmi un’idea completa del mercato delle bibite. C’è un grosso produttore locale che si chiama Kean che, oltre ai propri prodotti, imbottiglia tradizionalmente anche marchi internazionali. In questo momento produce il Vimto (vedi app. VIII), la celebre spuma inglese alle bacche molto diffusa in Medioriente. Nella gamma della Kean però prevalgono aranciata e limonata; dei buoni prodotti, anche se forse quello più interessante è la meno diffusa mandarinata. Nella turistica Pafo niente di folkloristico o esotico mi è balzato all’occhio.
Mi sono poi spinto a Nicosia, dove il fermento commerciale internazionale e soprattutto asiatico mi ha aperto alcune prospettive, ma non era quello che cercavo: avevo in mente l’equivalente della canelada o del byral cretesi, la Mouss' OR corsa, il mastice di Chios o la spuma-passito siciliana; insomma qualcosa di caratteristico ed esclusivo... non so, cosa si coltiva a Cipro, le nespole? Ecco, una bella gassosa alle nespole. Una volta sorpassato il confine apparentemente esile e provvisorio tra la zona greca e quella turca, mi trovo in tutt’altra città; al di là delle prime esche commerciali a ridosso della dogana, ho l’impressione di essere in un continente diverso, pur nella confusione di quello che mi lasciavo alle spalle. L’unico spiraglio internazionale è la curiosa accoglienza ritratta nella foto qui sopra: un gruppo di cingalesi mi offre bicchieri di Coca Cola e Fanta. È il Vesak, una specie di Natale buddista in cui, per tradizione, si offre da mangiare e bere ai viandanti. Nonostante sia domenica ho la fortuna di trovare alcuni negozi aperti per le bibite. Sono in Turchia: tutti i prodotti vengono da lì. Mi premuro subito di verificare se il souvenir turco che ho ricevuto tanti anni fa fosse avariato oppure esiste veramente una bibita gassata così cattiva. Esiste, è il Şalgam, succo di rapa rossa o carota fermentato, salato e a volte speziato, una roba completamente slegata dalla più diffusa convenzione delle bibite fredde, tradizionalmente utilizzato nella Turchia meridionale per dissetarsi e accompagnare piatti dal sapore forte. Occorrono una lunga preparazione e papille dalle larghe vedute. Visto che ho messo un piede in Turchia e che non potevo portarvi il terribile Şalgam, sono qui con la gassosa turca per eccellenza, la "leggendaria", come ama autodefinirsi in etichetta, Uludağ Gazoz. Ma attenzione, perché ne esiste una versione più commerciale in bottiglia e in lattina verdi, più facile da trovare anche da noi. Si tratta però di un gusto diverso, forse più esportabile e appetibile ai consumatori slavi e balcanici, con una più isolata e conformista nota di vaniglia. Questa è diversa e rivendica in etichetta il 1930, più o meno l'anno in cui è nata. Più o meno gli anni in cui esplodevano nella Turchia repubblicana il mercato e l'industria delle gazoz. Cé Freez Tamarind Quando Rezzonico tirò fuori il ghiacciolo al tamarindo, questo era già confinato all’archeologia gelatiera. Oggi il fatto che Rezzonico abiti il culto, la stessa categoria della chicca che reclamava, è la misura di quanto sia inattuale quel gusto dolciario. Per incontrarlo nelle bibite gassate avevamo addirittura rievocato l’Erba Soda con una specie di seduta spiritica (app. XXIX); nel frattempo ci aveva pensato la ditta siciliana Polara a colmare la lacuna ripescandolo nella sua serie Chioschì, la stessa dalla quale abbiamo gustato il Mandarino al Limone e che, come suggerisce il nome, imbottiglia le bibite della tradizione dei chioschi catanesi, dove il tamarindo gassato continua ad essere servito, investito di proprietà digestive. Ancor più delle reclamate proprietà, è il sapore a confonderlo con la prugna, ma il tamarindo è tutt’altro frutto; o meglio è un legume che cresce in alberi tropicali di alto fusto, la cui coltivazione si è probabilmente diffusa dall'India. Oggi lo incontriamo proprio sulla strada della sua provenienza, in Libano, un paese in cui è coltivato e partecipa all'alimentazione tradizionale e non è come da noi un frutto esotico presente solo negli sciroppi ereditati dall'imprenditorialità farmaceutica ottocentesca. La linea di bibite libanese Freez (ben 19 gusti senza le versioni diet e energy) viene dalla ditta Kassalty Chtaura, un'impresa familiare fondata nel 1974 che produce in Libano, non senza velleità di esportazione, tutto lo spettro del bevibile. L'ho trovato nel sempre prolifico negozietto alimentari turco di Via delle Palme. Costava 1,80 euro a bottiglietta. Cé Uludag Frutti - cocomero & fragola Premessa: il cocomero è sacro; la sua ricerca, la custodia e la consumazione prevedono dei rituali precisi che si svolgono lungo l’estate, scanditi dalla fluttuazione del prezzo. È inutile che cercate di riconoscervi nella precedente affermazione, perchè le mie sono naturalmente le uniche pratiche ortodosse e universali, rispetto alle quali qualsiasi deviazione è un sacrilegio. Ciò postulato, oggi trattiamo di una specie di capitolo posticcio dell’ideale testo sacro del cocomero; in sostanza parliamo di superstizione. Tuttavia è una superstizione che ho sempre indagato con curiosità poichè in effetti la mia vocazione blasfema si estende anche al campo in cui mi riconosco il ruolo di sacerdote supremo. D’altra parte l’ardore stesso, la bramosia di redenzione, ci ha fatto spesso errare in passato e le pratiche oggi riconosciute come ortodosse traggono beneficio dall’affinamento di metodi geometrici, come quelli legati agli esoterici tentativi di consumare separatamente il nucleo, e da errori clamorosi quali i nefandi esperimenti di congelamento. La strada del mistico è lastricata di peccati e superbia. Sono rimasto disgustato, circa venti anni fa in Grecia, quando mi sono imbattuto nella Fanta Watermelon, ma non mi sono arreso. Oggi mi sarei aspettato di incontrare, prima o poi, un prodotto convincente dal sud-est europeo, un qualcosa di simile al melone bulgaro già incrociato (app. LV), magari in un fiasco in pet da 2,5/3 litri che riproducesse anche l'opulenza dell'originale. Non avrei immaginato di incontrare tutto il contrario e per di più ad opera dei turchi, nei nostri adagi poco avvezzi alla delicatezza nel consumo. Cé 18/09/2017 Orzata Calabria Sono ormai molto poche le bibite tipicamente italiane che ancora non hanno occupato uno spazio in questa rubrica: manca il chinotto, sospeso da anni in attesa che si concluda una ricerca estenuante, l'aranciata rossa e poco altro. Mancava anche l'orzata, ma a questo rimediamo oggi. A differenza delle prime due bibite non è molto diffusa: si trova facilmente in vendita lo sciroppo, destinato più probabilmente a granite e bevande lisce, mentre l'orzata frizzante è una questione d'altri tempi, forse neanche tanto estesa. Per ripescarla ci torna in soccorso la Calabria, regione con un'industria gassosaia anacronistica, scampata all'uniformazione dei grandi produttori e della grande distribuzione. L'orzata è una bevanda antica che nasce unendo all'acqua il pesto di orzo o altri semi. Anche detta lattata per il colore biancastro, adotta nei secoli sempre più univocamente la mandorla. In Italia oggi, nella sua definizione legale, non le serve più neanche la mandorla, ma solo il benzoino, un composto organico naturalmente presente nell'olio di mandorla amara. Mantiene però il colore bianco-amido, quasi una stonatura tra le bibite gassate per via del rimando al latte. A me che l'ho scoperta così all'improvviso, proveniendo da una antica adorazione per il latte di mandorla, viene spontaneo stroncarla, nonostante la grande simpatia verso tutte le gassose superstiti come questa. Ma a parte l’apprezzamento del gusto, mi ha generato variegati impulsi, dall’improvvisa voglia di guidare una Duecavalli all’ansia di immaginare oggi un consumatore di questa orzata, magari d’inverno: sapere cosa fa durante il giorno, come ha conosciuto al bibita e ci si è affezionato, come se la procura e con quale eventuale rito la consuma. Poi mi ha ripreso la necessità periodica di fare un bilancio delle cose che abbiamo perso e guadagnato negli ultimi decenni; non le cose importanti ma quelle che caratterizzano esperienze semplici e ci scandiscono i ricordi. Ad esempio oggi finalmente il cornetto gelato lo si può mangiare senza una strategia per evitare lo spreco della punta e in cambio di ciò abbiamo dovuto accettare che il nocciolo della maggior parte delle pesche sia indivisibile dalla midolla. Pro e contro di ere diverse... a voi sta decidere da che parte mettere l’estinzione dell’orzata gassata. Difficile da rimediare a Roma, anche presso i tanti banchi di prodotti calabresi della città. A me l'ha portata su commissione lo storico venditore di Portaportese. 5 euro per la confezione da 6 bottigliette. Cé Vita Cola Ero bambino, ma la ricordo la fastidiosa epopea atletica della Germania dell’Est, anche se boicottò insieme al blocco sovietico le mie prime Olimpiadi da spettatore, quelle del 1984. Da lì in poi fu un lento declino, con l’esplosione dell’antidoping, la dissoluzione del blocco e la migrazione di alcuni medici sportivi in Cina per creare nuovi mostri. Quella vicenda ha impresso nella mia mente un marchio malvagio e insalubre sulla DDR con incubi ad occhi aperti sulle metamorfosii degli ex-atleti esposti a bombardamenti ormonali per mortificarne o esaltare di volta in volta le caratteristiche e facoltà maschili. Da allora la DDR, o meglio le espressioni del suo regime, hanno avuto per me sempre un sapore “medicinale”, in una accezione assolutamente negativa che parallelamente adottavo per un quasi ideologico sospetto sulle intromissioni chimiche nelle mie vicissitudini organiche. Riscopro improvvisamente questa sensazione mentre tracanno una Vita-Cola, l’anti-cola tedesco-socialista riportata in vita negli anni 2000 e trionfalmente impostasi sul nuovo mercato capitalista. La storia della Vita Cola inizia nel 1956 quando il governo programma di rifornire la popolazione con una migliore offerta di bibite analcoliche anche per contrastare il diffondersi del'alcolismo; sicché il Ministero dell'Industria sviluppa una bibita che corrisponde alle bevande caffeinate occidentali. Nel 1958 inizia la produzione della "Brauselimonade mit Frucht und Kräutergeschmack" (=bevanda gassata con aroma di frutta ed erbe) poi opportunamente dotata anche del nome più sintetico e accattivante di Vita-Cola. Da allora inizia a diffondersi col modello di produzione su licenza: nel 1960 oltre 100 impianti di marchio diverso, tra cui molte birrerie, imbottigliavano la Vita-Cola, fino a diventare circa 200 nel periodo di massima diffusione. La pubblicità della ricetta naturale, creata a partire dal genuino estratto di noce di kola, puntava sull'aspetto stimolant, assicurato dalla caffeina e su quello salutare per la presenza di vitamina c come ingrediente a sé stante, in aggiunta al minimo contributo degli estratti di agrumi che pure la caratterizzavano nel gusto. Non è una cola molto occidentale, tanto è vero che nel 1967 la segue nel mercato della DDR la Club Cola, espressamente pensata per imitare le cole oltre cortina, e persino la ampia gamma di bibite oggi prodotte col marchio Vit, include anche la Vita Cola "Pur", senza "citrus kick", vitamina c e le altre caratteristiche che la distinguono dallo standard internazionale. Nel sapore è poco evidente la cola di base, si avverte un mix agrumato più spostato sull'arancia che sul limone e il resto è uno sgradevole sentore di aspirina che risuona con la mia immagine medicinale della DDR. A provarla oggi, venendo dalle note cole più diffuse, sembra quasi una bibita inquinata, sinistramente addizionata, dopata da levare il gusto. Oggi l'ingrediente che più caratterizza la Vita Cola, il cui nome nel frattempo ha perso il trattino, è la nostalgia della popolazione della ex Repubblica Democratica Tedesca, come per altri prodotti aimentari e non che sono tornati in auge dopo essere stati frettolosamente accantonati con la caduta del muro. Questo fenomeno ha anche un nome: ostalgie, crasi tra ost (=est) e nostalgie (=nostalgia), ben rappresentato nel film di culto Goodbye Lenin. Il film racconta di una donna che subisce emotivamente il contrasto tra gli ideali socialisti e l’oppressione del regime tanto da trascorrere la sua vita in ospedale, ma soprattutto del figlio che dopo la caduta del muro inscena per lei una rappresentazione degli eventi ideale, riscrivendo la storia per non traumatizzare la madre. la benevola finzione culmina col racconto di una liberazione di Berlino in cui gli occidentali accedevano finalmente all’agognata società comunista; la madre a quel punto aveva già scoperto la verità ma non fermava la recita del figlio, morendo prima dell’unificazione delle germanie. Il successo della Vita-Cola è sicuramente legato a un processo psicologico simile: l’accantonamento della realtà e l’adozione di una sostituta verosimile a noi più gradita. È così che questa bibitaccia ha costruito un progressivo trionfo fino a sorpassare la Coca-Cola in Turingia, come avviene in poche altre parti del mondo, ma per chi non ha vissuto quella storia lì è veramente difficile apprezzare questo miscuglio dal sapore medicinale. Goobye Lenin, addio, so che non hai lasciato solo macerie, ma questa Vita-Cola non contribuisce affatto a una valutazione positiva della tua eredità. Cé 1904 Gassosa In questi mesi di assenza di A&B non sono stato con le mani in mano: ho continuato a viaggiare e ho portato nelle conferenze le mie storie di bibite gassate, raccogliendo la stessa acclamazione che sucitatano sul web. Qui sotto potete constatare l’interesse dimostrato in un convegno nella splendida cornice del Castello di Otranto. Ma questa trasferta salentina è stata anche una specie di pellegrinaggio in una terra già omaggiata con l’inclusione della Gassosa Chiurazzi nel Tour delle Gassosse del Mezzogiorno e che annovera alcuni altri piccoli produttori come la Conap di Melissano con la sua gassosa Sprizzy. Ho acquistato le bottigliette direttamente nella bottega in cui vengono prodotte, in Corte dei Romiti, a due passi dal Duomo di Lecce. Erano gli ultimi giorni del 2016 e Marco Chiurazzi mi annunciava il prossimo lancio dell'aranciata e la prova di altri gusti; l'aranciata è oggi disponibile, per gli altri chissà. Cé 03/05/2017 - appendice LXVII b Solo un pacchiano souvenir polacco, come scusa per parlare di due o tre cosette. Coca-Cola Lime Molte cose si sono mosse negli ultimi mesi in Europa tra i prodotti del colosso Coca-Cola. fanno un po' di clamore soprattutto le bibite col marchio principale, quello abituato a centellinare prudentemente le novità e i cambi di rotta. Anche in Italia, dove la Coca-Cola non cambia mai praticamente niente, è stata appena fatta una rivisitazione della gamma ipocalorica con una nuova formula della Life che prevede il risparmio di metà calorie senza ulteriori effetti nefasti sul sapore, una nuova formula non notabile della Zero e una nuova pessima Zero Gusto Limone con limpide note di detersivo per stoviglie. Cé
Rispetto al viaggio di soli due anni fa, ho trovato in Polonia diverse novità e questa doppia appendice serve per documentarle. Una novità che ripesca dal passato e una novità che sta nel catalogo dei cambiamenti europei della Coca-Cola di questi mesi. Polo Cockta È il classico surrogato delle cole americane nei paesi del blocco sovietico. Se nel nome ricorda la Cockta slovena, nel sapore si avvicina molto alla Kofola e ancor di più alle sue eredi slovacche. È una finta cola, con alcuni aromi in comune e naturalmente la caffeina, ma in realtà confonderla con lo standard occidentale porta solo ad una sottovalutazione del suo gusto. Sebbene sia impossibile valutare l'aderenza di questo ripescaggio alla storica bibita polacca, la miscela di aromi con in evidenza una scia limonosa e una erbacea non solo è credibile, ma anche gustosa. Forse solo un poco poco scarica. In realtà la Polo Cockta non ha una storia lunghissima; anzichè negli anni '50 come molte colleghe, nasce infatti solo negli anni '70, su prescrizione del governo e prodotta dalla cooperativa alimentare Spolem per contrastare nel mercato i prodotti delle prime fabbriche di Coca-Cola e Pepsi. Poi negli anni '90, quando le cole americane diventano più facilmente reperibili, la Polo Cockta scompare. Riappare solo dopo alcuni anni di assenza, ma la Zbyszko, il popolare produttore di bevande che l'ha riportata in vita acquistando i diritti del marchio, constatando l'insuccesso dell'appeal nostalgico, nel 2007 la converte in Polo-Cola. Forse la debolezza del marchio e dell'attrattiva retrò deriva dal fatto che due soli decenni sono un po' pochi per entrare nella tradizione nazionale. Però sono rafforzati dalla presenza nel film di culto Kingsajz. Quel film, il cui titolo traslittera l'espressione inglese king-size (= enorme o extra-large), narra le vicende di un gruppo di persone che lottano per affrancarsi dal mondo sotterraneo degli gnomi e vivere nelle sembianze e nella società degli uomini. La possibiltà di sfuggire dagli gnomi malvagi è fornita dalla scoperta da parte del protagonista di una specie di antidoto liquido verde che consente di acquisire le dimensioni umane, ma la permanenza della nuova taglia è garantita dal consumo di Polo Cockta. Il successo del film uscito nel 1987, in tempi di piena esplosione dei movimenti che si opponevano al regime della Repubblica Popolare, sta nella sovrapposizione tra il regime sotterraneo degli gnomi nel film e quello comunista del paese reale, con tutte le corrispondenti ansie di emancipazione e libertà. Cé |
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